La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.23384/2017, ha stabilito che è indetraibile l’IVA afferente ad una fattura di acquisto nel caso in cui la descrizione in essa contenuta sia generica così come la documentazione di supporto dell’operazione fatturata o comunque insufficiente a dimostrare la natura, qualità e quantità dei beni o servizi acquistati come disposto dall’art.21, comma 2, lett. g) del D.P.R. 633/1972 il quale riproduce, su base nazionale, il principio contenuto nell’art. 226 punto 6 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio Ue.
I Supremi giudici infatti, confermando la giurisprudenza comunitaria in materia, hanno ribadito l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti, nonché della specificazione della data in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA. In quest’ottica, la posizione di legittimità rispecchia quanto affermato anche in dottrina, laddove si è sostenuto che l’Amministrazione finanziaria non può negare il diritto alla detrazione dell’IVA con la sola motivazione che una fattura non rispetti formalmente i requisiti previsti dal citato art.21, qualora essa disponga dei documenti accessori e delle informazioni di qualsiasi tipo, fornite dal contribuente, per accertare che i requisiti sostanziali per l’esercizio di tale diritto sono stati nel caso specifico soddisfatti (cfr. Norma di comportamento AIDC n. 199).
Si ricorda che la stessa questione riguarda la deducibilità dei costi infatti, per la Cassazione, se redatta in conformità alle disposizione di cui all’art. 21 del DPR n. 633/72 e quindi, con l’indicazione di natura, qualità e quantità dei beni e servizi, la fattura è documento idoneo a legittimare la deduzione di un costo, (ex pluris, Cass. nn. 9108/2012 e 24426/2013). Se la fattura, però, riguarda prestazioni generiche non documentate, spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza e l’inerenza di tali costi alla propria attività e, in assenza di detta prova, l’accertamento dell’Ufficio con cui vengono recuperati i costi risulta legittimo (Cass. n. 19489/2010). Nella sostanza, la Suprema Corte ha sempre confermato l’indeducibilità dei costi afferenti a fatture generiche, in particolare relative a prestazioni di consulenza o a contratti eccessivamente “vaghi” (Cass. nn. 22403 e 21184 e 2014).
L’indirizzo della Suprema Corte è confermato anche quest’anno laddove ha ribadito l’indeducibilità dei costi relativi a fatture nella cui descrizione non era indicato alcun periodo di riferimento delle operazioni e per le quali non vi era alcun contratto scritto di supporto (Cass. n. 20303/2017).
In sostanza, anche ai fini delle imposte dirette, se una fattura dettagliata e completa in ogni sua parte può costituire un supporto probatorio idoneo a legittimare la deducibilità dei relativi costi tale documento non può considerarsi l’unico rilevante in quanto, i requisiti sostanziali per la deduzione di cui all’art. 109 del TUIR, possono ricavarsi anche da altra documentazione, quale, ad esempio, quella contrattuale, sempreché, ovviamente, sia idonea allo scopo e non anch’essa eccessivamente generica.